«Il panpenalismo sta affossando la giustizia in Italia e sta impoverendo la società e l’economia nazionale. Serve una radicale riforma che punti a una massiccia depenalizzazione dei reati e alla salvaguardia dei diritti del cittadino di fronte alla legge. La nostra idea è il “casellario giudiziario a punti” che consenta la rigenerazione del beneficio della sospensione condizionale della pena per condanne di lieve entità risalenti nel tempo. Beneficio oggi impedito dalle norme che sottopongono al ricatto perenne del carcere quanti, magari in gioventù, sono incorsi nelle spire della giustizia e che, per un qualsiasi nuovo incidente giudiziario futuro, possono vedere distrutta tutta la loro esistenza con una sentenza che li destini alla pena detentiva».
A dirlo è il leader del partito «Libertà, Giustizia, Repubblica», l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale e coordinatore di una rete di studi legali internazionali con sedi in Europa, Asia e Americhe.
«La sospensione condizionale si concede a chi commette un reato per la prima volta e si applica a condanne fino a due anni di carcere – aggiunge Tirelli –. Ma con la pericolosa deriva della rilevanza penale estesa a tutti gli ambiti del vivere civile, oggi nessuno di noi è al sicuro: basti pensare che la pena detentiva scatta per i reati colposi e anche per quelli di minima rilevanza (come una violazione del codice della strada o di una norma urbanistica)».
«Il che significa che un individuo che si è comportato bene tutta la vita non può rischiare di finire in carcere perché trent’anni prima gli è stata riconosciuta la sospensione condizionale della pena, non più rinnovabile. La proposta del nostro partito è invece basata sul buonsenso e sullo spirito autentico delle leggi: trascorsi 10 anni di buona condotta, la sospensione può essere concessa nuovamente dal giudice neutralizzando così eventuali pericoli di carcerazione per reati di lieve entità».
«Si tratta, insomma, di una sorta di premialità a punti che valorizza la resipiscenza del soggetto e che approccia scientificamente la finalità autentica di una politica criminale che non deve puntare giammai alla distruzione sociale del reo ma alla sua riabilitazione e soprattutto – conclude Tirelli – al suo reinserimento nel consesso sociale. Oggi, purtroppo, scontiamo una visione ottocentesca del diritto penale che vede la sanzione detentiva come antibiotico unico per reprimere la carica virale, ovvero antisociale, di comportamenti che non destano particolare allarme».