«I consigli distrettuali di disciplina degli ordini degli avvocati sono diventati dei tribunali dell’Inquisizione dove il potere dei rapporti personali e delle correnti di appartenenza sovrasta e annichilisce qualsiasi parvenza di correttezza e di legittimità istituzionale nonché di aderenza alle norme. Dal punto di vista sostanziale, sono un fallimento. Il governo dovrebbe abolirli».
A dirlo è l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, presidente del partito «Libertà, giustizia, Repubblica» e numero uno delle Camere penali del diritto europeo e internazionale.
«I consigli di disciplina sono diventati uno strumento per regolare i conti personali e professionali all’interno della corporazione – aggiunge Tirelli –. I sedicenti giudici e ancor di più i giudici istruttori sono immersi completamente nella gelatina dei conflitti di interesse e non assicurano, in alcun modo, imparzialità e indipendenza. È un luogo in cui vige la legge del più forte, non la legge dello Stato. LgR si farà promotrice, in tutte le sedi, delle iniziative opportune per correggere queste storture investendo, se necessario, anche le autorità europee».
«Il procedimento inquisitorio disciplinare è contrario agli stessi fondamenti del diritto e viola pesantemente i diritti della difesa. Non esiste nemmeno l’obbligo, da parte del testimone, di presentarsi e rendere dichiarazione e addirittura una semplice segnalazione viene innalzata al rango di prova. Le statistiche del ministero della Giustizia, peraltro, confermano che i procedimenti disciplinari sono diventati un’arma non convenzionale per abbattere avvocati scomodi e non allineati».
«Puniti – prosegue Tirelli – per fatti inerenti la loro vita privata e non già la professione, come dovrebbe essere. Gli stessi principi di “correttezza, probità e lealtà”, che spesso rappresentano il gancio per irrogare sanzioni pesantissime, sono concetti così fumosi da adattarsi praticamente a tutto. Nessuno può sfuggire a questa mannaia tranne, naturalmente, gli amici degli amici. Ci sono stati casi in cui sono stati attivati procedimenti penali per colpire il portafogli clienti di avvocati molto noti che si sono visti “derubati” letteralmente dei propri assistiti, alcuni dei quali sono poi finiti nell’orbita dei giudici della disciplinare».
«Gli avvocati devono rispondere ai magistrati dei loro comportamenti non a colleghi concorrenti – ha concluso Tirelli – perché non può esistere un ordinamento, quello disciplinare, diverso da quello dello Stato cui sono sottoposti tutti i cittadini. C’è da fidarsi molto più di un magistrato che di un avvocato che piega la sua funzione a scopi meschini e di bottega».