(di Paolo Petroni)
SANDRA PETRIGNANI, ”AUTOBIOGRAFIA
DEI MIEI CANI” (GRAMMA/FELTRINELLI, pp. 208 – 18,00 euro) –
Questo libro che si presenta e può essere letto come una sorta
di memoire è in realtà un romanzo, del quale ha una costruzione
che procede non cronologicamente ma per salti temporali, quasi
per libere associazioni e recuperi di ricordi che si rimandano
l’un l’altro, assieme a una riflessione sull’invenzione in
relazione a un’autobiografia (e si cita Modiano col suo
correggere le sbavature e ricopiare in bella il proprio passato)
allo stesso modo in cui ripetutamente, assieme a un amico
scrittore ”ragionatore lucido”, si riflette sulla scrittura e
le parole, capaci anche di inventarle, ricordando che ”la vita
vera non basta a uno scrittore”.
Un romanzo allora, ma cosa c’è di più vero di un’opera
letteraria riuscita che ha momenti di poesia e riempie le
memorie anche di dati reali, a cominciare dai nomi dei tanti
cani posseduti e incontrati negli anni sino ai luoghi, strade,
case. Un raccontare letterario che è quasi un colloquio diretto
col lettore almeno quanto lo è con se stessa per l’autrice, che
in queste pagine compila un bilancio della propria esistenza
puntando sui sentimenti, con cani, amori, amici, che sono la
vita vera, più che sugli avvenimenti. Un bilancio e un ricordare
senza rimpianti, senza nostalgia, anzi con un’accettazione di
una nuova consapevolezza e inevitabile maturità, non ostentata
ma intrinseca alla narrazione, al gioco tra ricordi,
dimenticanze e reinvenzioni, quelle volontarie dello scrittore e
quelle involontarie della memoria. Quanta distanza dalla Circe
della Petrignani delle ”Navigazioni di Circe” di quasi 40 anni
fa, tutta presa dal presente delle sue seduzioni, di una vita da
consumare, ma chiedendosi già davanti al manoscritto ”Cos’era
quella roba che appariva uno spudorato duplicato della vita” e
ancora ”Se ho impiegato il tempo a scrivere tanto
minuziosamente la vita, come ho fatto a viverla?”. La verità è
che sin da allora annota ”da quando scrivo non sono più la
stessa”.
Le pagine odierne sono la misura di questa mutazione, sul
piano personale, esistenziale, e su quello della scrittura come
capacità di mettersi in gioco, di svelarsi nascondendovisi
dietro. C’è la forza e la sincerità di non aver più bisogno di
difese, di una presa di distanza dai ricordi come al tempo della
terza persona usata per l’autobiografia dei giocattoli (”Il
catalogo dei giocattoli” del 1988).
Naturalmente si parte dalle radici, da quel che si riesce a
recuperare della famiglia, dall’amato padre innocentemente
fedifrago ai nonni tra amori vissuti e non vissuti e poi da
bambina l’amica del cuore Wendy, tra avventure libere e la
scoperta della morte, e i primi cani, da Rocky sino a Guapa con
cui si vive il passaggio all’adolescenza. I cani certo, tanti,
con la loro presenza invasiva, col loro carattere, legami
d’amore e dolore dai quali scaturiscono queste rievocazioni,
perché affettivamente sono sempre punti fermi, a contrasto col
passare, il mutare e persino la volubilità degli esseri umani e
in particolare degli uomini che, egualmente scandiscono il
trascorrere del tempo, presto dimenticati, magari sostituiti, o
che lasciano invece un vuoto profondo. Allora la cifra del
racconto e della scrittura è una sorta di leggerezza forse
appena malinconica ma illuminata da una ricerca costante di
amore, passato e presente, nella coscienza sofferta ma accettata
inevitabilmente della nostra finitezza.
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