Ascolta la versione audio dell’articolo4′ di letturaDue terzi dei musei italiani non hanno un piano specifico a medio-lungo termine per la digitalizzazione. Un dato da non sottovalutare, se si pensa che le risorse stanziate dal Pnrr per la strategia digitale e le piattaforme per il patrimonio culturale ammontano a 500 milioni di euro.Stando alle analisi dell’Osservatorio Innovazione digitale per la cultura del Politecnico di Milano, dal 2020 a oggi la percentuale degli istituti culturali non dotata di un piano strategico è passata dal 76 al 68 per cento; una diminuzione sicuramente positiva, ma che non basta per scongiurare il pericolo di uno spreco di risorse. E questo per la natura stessa del progetto di digitalizzazione, che una volta avviato non prevede conclusione.Loading…«Si tratta di un processo che abbiamo iniziato e che non si potrà più fermare: oggi c’è in corso questo grande investimento, ma poi ci sarà il problema del mantenimento e dell’ampliamento, perché ci sarà sempre la necessità di rendere i prodotti culturali accessibili e facilmente consultabili», spiega Andrea Cancellato, presidente di Federculture,«La spinta per digitalizzare gli archivi e i contenuti culturali – continua – arriva dalle nuove tecnologie ma anche dalla pandemia, che ha bloccato l’accesso a materiali e contenuti non più consultabili fisicamente. Questo ci permette di trovare altre strade per comunicare e lavorare sulla narrazione della nostra proposta culturale, ma anche di stimolare la ricerca, grazie a documenti di cui prima non si aveva conoscenza o che non erano reperibili e consultabili. Ora, forse tanti finché non hanno un piano complessivo non sanno bene come fare. Ma intanto ci si buttano, si attivano. L’importante è iniziare».Senza un piano chiaro sugli obiettivi però, gli investimenti in atto rischiano di non essere canalizzati al meglio, soprattutto per le istituzioni più piccole e non autonome. «La differenza tra un un percorso più funzionale o meno – spiega Francesca Cruciani, ricercatrice dell’Osservatorio del Politecnico – è tra chi considera il fatto che dovrà aiutare il personale interno a sviluppare le giuste competenze, anche se oggi non ci sono, e chi invece prende una soluzione digitale “cotta e mangiata” senza poi preoccuparsi che vi sia qualcuno in grado di mantenerla. Per fare un esempio, un conto è realizzare il virtual tour di un museo in cui dal computer posso esplorare l’ambiente, un altro è crearci attorno un’esperienza, magari anche una guida fisica che mi accompagna e mi spiega le opere. Da qui poi può partire anche tutto un ragionamento sullo sviluppo di un modello di business».