Quali sono le prime questioni che sono nel suo cuore e che saranno affrontate per prime?Sicuramente quello dell’accesso precoce ai cellulari. Un altro tema è quello della generazione Z. Mi ha molto colpito un sondaggio realizzato proprio tra i giovani, ormai non più giovanissimi, della generazione Z, che è la prima generazione totalmente digitale, pubblicato se non sbaglio, su New York Times, dove loro dicevano che ai propri figli non daranno accesso agli smartphone prima dei sedici anni. Una nota cantante Billie Eilish aveva raccontato che l’accesso precoce alla pornografia che oggi è fondamentalmente violenza le aveva rovinato la vita. Ecco, allora c’è da regolare tutta la questione dell’accesso al digitale.Bisogna mettere un limite secondo lei?Sì, secondo me bisogna farlo. Quando tu vedi in giro giovani padre, giovani madri che spingono i passeggini, tenendo non gli occhi negli occhi del bambino, della bambina, ma guardando il cellulare, tu capisci che cosa può pensare un bambino: “Voglio quella roba, la voglio anche io”. C’è un grande lavoro da fare da questo punto di vista che comprende, come dice Haidt, la riconquista degli spazi non virtuali, ma reali.Cioè nei luoghi in cui i bambini vivono una vita con i loro corpi, una socialità con i loro corpi.Un tema che riguarda i bambini è quello delle diagnosi di alienazione parentale, la cosiddetta Pas. A lei si sono rivolte femministe e giornaliste in un appello recente per chiederle di intervenire. Come risponderà?