Con oltre 50mila persone attese a Chicago la prossima settimana per la convention democratica, e almeno tre grandi manifestazioni convocate contro il sostegno dell’amministrazione dem alla guerra a Gaza, la ‘Windy City’, come viene chiamata la città dell’Illinois affacciata sul lago Michigan, si prepara a schierare centinaia di agenti, molti arrivati dal resto dello Stato, per garantire la sicurezza di visitatori e residenti. “Il nostro piano è che tutti siano al sicuro in città e vogliamo che questo sia un successo”, ha detto il capo della polizia di Chicago, Larry Snelling.
Per raggiungere questo obiettivo da oltre un anno agenti ed ufficiali di polizia hanno partecipato a un addestramento speciale per affrontare proteste di piazza e disobbedienza civile. Ed ora, assicura Snelling, la città è molto più preparata ad affrontare situazioni come quella del 2020, quando le proteste per l’omicidio di George Floyd degenerarono in incendi, razzi e rivolte nel centro della città. Non a caso, alcuni dei proprietari di negozi, uffici e locali del centro hanno deciso di chiudere con assi di legno le loro vetrine nei giorni della convention, nel timore di una replica dei disordini di quattro anni fa.
Se si passa dalla contemporaneità alla storia recente, bisogna ricordare che nel 1968 Chicago è stata teatro di proteste represse violentemente dalla polizia, proprio in occasione della convention democratica. E a 56 anni di distanza sono molte le similarità di situazione politica con quegli anni caratterizzati in America del movimento di protesta contro la guerra in Vietnam, certo più ampio ma simile a quello attuale contro il sostegno Usa ad Israele per la guerra a Gaza.
Le similarità non si fermano qui: anche allora il presidente in carica, Lyndon Johnson, aveva annunciato – però a primarie iniziate da poco – che non si sarebbe candidato a un nuovo mandato. A spaventarlo era stata soprattutto la discesa in campo di Bob Kennedy, il senatore, fratello dell’assassinato Jfk, che poi avrebbe vinto facilmente le primarie democratiche se non fosse stato a sua volta assassinato a giugno, dopo aver vinto in California. Pur avendo avuto anche quest’anno un tentato assassinio politico, quello di Donald Trump il 13 luglio scorso, una settimana prima della rinuncia di Joe Biden, i democratici arrivarono alla convention in una situazione molto più divisiva ed esplosiva, ci tengono a sottolineare gli attuali organizzatori della convention che è riunita intorno a Kamala Harris.
Le proteste durante la convention sono organizzata dalla Coalition to March on the DNC, che riunisce oltre 200 gruppi, che hanno fatto causa alla città di Chicago per le limitazioni loro imposte, tra le quali il divieto di costruire palchi e montare sound sistem ad Union Park. Un giudice federale ha accolto la loro richiesta per palco e amplificazione, ma ha imposto ai dimostranti di ridurre il percorso delle marce previste e aumentare la distanza dall’United Center dove si svolge la convention.
Le principali manifestazioni sono state indette per lunedì a mezzogiorno a Union Park, che si trova a quattro isolati dal centro dove si riuniscono i democratici, e viene presentata dagli organizzatori come “la più grande manifestazione per i diritti dei palestinesi nella città di Chicago”. La seconda è indetta per giovedì, giornata conclusiva della convention, alle 5 del pomeriggio, poco prima del discorso di Harris. Una terza manifestazione è stata indetta per mercoledì alle 15.30 dalla Chicago Coalition for Justice in Palestine.